Genitorialità: nuove sfide, nuove risorse. Webinar gratuito con le Dott.sse Concetta Pedron e Cinzia Arces


Il webinar si è tenuto in data 21/03/2022 alle ore 19:30 .

Di seguito riportiamo l'articolo riassuntivo degli interventi delle due Dott.sse Concetta Pedron e Cinzia Arces.


GENITORIALITA': NUOVE SFIDE, NUOVE RISORSE

Quella della genitorialità è una dimensione in continua evoluzione attraverso il tempo, le culture, le richieste della società, le identità di uomini e donne che cambiano, si adattano, si rimodellano.

Nella pratica clinica le questioni più attuali relative alla genitorialità vertono intorno a questi temi: conciliare la maternità con la carriera, dinamiche di non collaborazione o competizione tra membri della coppia nelle loro funzioni genitoriali, vissuti di solitudine a causa della mancanza dell’aiuto di un entourage familiare, sentimenti di frustrazione rispetto al non sentirsi più desiderati dal partner, paure e ansie genitoriali, vissuti di inadeguatezza, difficoltà nel rapporto con la regola da dare e far rispettare ai figli senza vivere un disarmante senso di colpa, paura di commettere errori e sentirsi fallimentari.

Inoltre, rassegne di studi effettuati negli ultimi 2 anni hanno analizzato le difficoltà dei sistemi familiari, mettendo in luce come la pandemia abbia scosso, sovvertito e talvolta spezzato i legami familiari, mettendo ancora più a dura prova le modalità di far fronte alle sfide genitoriali quotidiane.

Si pensi ai figli di coppie separate o divorziate, i cui genitori si sono trovati impossibilitati ad accudirli a causa delle restrizioni alla mobilità, oppure alle famiglie monogenitoriali private di altre forme di supporto, o ancora alle difficoltà di mantenimento delle relazioni intergenerazionali tra figli e genitori anziani e tra nonni e nipoti.

I problemi del conciliare lavoro e cura familiare, specialmente con i figli a casa in DAD, hanno assunto maggiori proporzioni dovute alle tipologie di risposte istituzionali di supporto, mentre l’eccesso di prossimità delle relazioni intime familiari da un lato e il drastico diradamento delle relazioni quotidiane dall’altro, fino alla possibile interruzione definitiva data dalla morte di uno o più membri della famiglia, hanno comportato la criticizzazione di molte dinamiche intrafamiliari. (Silva, Gigli 2021).

Tutti questi elementi rendono ancora più emergenziale una riorganizzazione delle risorse psichiche, relazionali e sociali su cui una famiglia può fare ricorso di fronte alle nuove sfide che la riorganizzazione della famiglia nucleare, la società e la cultura impongono.

Proviamo ad analizzare più nel dettaglio queste situazioni partendo dai contributi che più approfonditamente hanno affrontato la questione.

Daniel Stern nel 1995 con il suo lavoro “La costellazione materna” metteva a fuoco le rappresentazioni che una madre e un padre sviluppano a partire dalla gravidanza, identificando tanto per la madre quanto per il padre una rete di schemi sottoposta a rielaborazione, quali il Sé come donna/uomo, madre/padre, moglie/marito, lavoratrice/lavoratore, figlia/figlio, nipote, il proprio ruolo nella società e il proprio posto nella famiglia d’origine, la propria responsabilità nella crescita e nella vita di qualcun altro, mettendo in luce come questa rielaborazione può richiedere tempi e modalità diversi che spesso possono non coincidere tra i membri della coppia che si apprestano a diventare genitori, provocando una non sintonia e divenendo fonte di conflitti.

Allo stesso tempo si sviluppano le rappresentazioni del bambino, che a sua volta potrà essere fantasticato e percepito come collante tra i genitori, come l’unica persona che finalmente amerà la madre di un amore incondizionato come il marito non ha mai fatto, o viceversa come una minaccia alla coppia e alle attenzioni esclusive del partner, come un dono e una ricompensa della moglie al marito o del marito alla moglie.

Stern stesso chiarisce come la costellazione materna non sia universale né innata e che dipenda dalle epoche storiche, dalle culture e dalle società, sottolineando come le società occidentali moderne assegnino un grande valore al bambino e alle sue cure e un valore altrettanto elevato al ruolo materno nella responsabilità rispetto ad esse, con la conseguenza che spesso la madre viene valutata come persona a partire dal successo che ottiene nel suo ruolo.

Dal padre, invece, ci si aspetta che fornisca un contesto di supporto, mentre né la famiglia, né la società e la cultura offrono l’esperienza, la formazione e il supporto adeguato alla madre affinché possa svolgere il suo ruolo da sola.

Eppure, nelle famiglie nucleari odierne, molto spesso le madri sono sole o lasciate sole, il ruolo della matrice di supporto composto storicamente da altre donne (madri, nonne, sorelle, levatrici o balie) è spesso inesistente o lasciato sullo sfondo e le funzioni di protezione fisica, soddisfacimento delle necessità vitali e supporto psicologico-educativo dei padri si sono altrettanto modificate nel tempo.

Questo comporta lo sviluppo di una serie di paure nella madre proprio relative al fallimento del sistema di supporto, alla possibilità di essere giudicata o considerata carente, al timore che il marito possa entrare in competizione con lei come genitore o in competizione con il bambino per le sue attenzioni, diventando un secondo figlio, o di iperresponsabilizzarlo, o che fugga e vada a cercare altrove il soddisfacimento dei suoi bisogni.

Molte coppie in cui entrambi i genitori lavorano, si sono ridistribuiti, anche efficacemente, i compiti di cura del bambino e gli aspetti pratici della vita quotidiana, ma talvolta ai mariti può restare la sensazione di avere molto lavoro in più e molta gratificazione in meno, a meno che non riesca a sentirsi gratificato dal sostenere la sua donna nel compito di genitore.

Stern lasciava molti interrogativi aperti, dicendo che molte delle risposte a come si riconfigurerà la nuova famiglia nucleare richiederanno tempo. (Stern, 1995)

Altri contributi della psicoanalisi ci offrono spunti sul tema dell’educazione dei figli.

Il padre, che è sempre stato deputato al ruolo di rappresentante della regola e della legge della società da trasmettere al figlio, oggi risulta “evaporato” poiché evaporate sono le istituzioni cui lui faceva riferimento e nelle quali poteva identificarsi (appunto la legge, lo stato, la politica, il lavoro, la società patriarcale).

E in questo il conflitto del figlio con il padre nel complesso di Edipo rappresentava un’occasione di confronto che culminava nell’identificazione con il padre stesso, utile allo sviluppo della propria identità.

Oggi invece del figlio-Edipo, osserviamo la condizione del figlio-Narciso, che resta invece fissato alla sua immagine poiché non vi è confronto né spesso differenza tra le due generazioni e si parla di complesso di Telemaco, che, come il figlio di Ulisse, attende il ritorno/ritrovamento del padre e si chiede: come si fa ad essere figli e cosa vuol dire essere “eredi” senza ricevere una “eredità”? (Panìco, 2013).

Recalcati ci guida verso la responsabilità maggiore che, seppur nel cambiamento di ruoli, essere genitori comporta: educate al limite, saper dire di no e saper indirizzare verso desideri non distruttivi, educare al fallimento più che al successo, vivere il figlio reale e non il figlio ideale, di cui viene scansata ogni imperfezione e che viene addestrato alla prestazione e al successo, ai quali però spesso non segue alcuna soddisfazione. (Recalcati, 2011)

Ma questo molto spesso accade perché i genitori hanno in primis difficoltà ad accettare la propria possibilità di errore in un contesto sociale che chiede loro di essere perfetti.

E se è vero che sono cambiate le rappresentazioni, le identificazioni, la presenza di figure di supporto alla famiglia, c’è bisogno di riscrivere cosa significa e come si vuole essere genitori e questo ogni uomo e ogni donna che si accingono a creare una famiglia dovranno farlo non più facendo riferimento a modelli precostituiti, ma trovando la propria personale sintesi soggettiva e di coppia per potersi sperimentare come genitori efficaci.

Resta fondamentale il ruolo dei servizi educativi e di supporto psicologico come tutori di resilienza, facendo leva sulle risorse delle singole famiglie e fornendo strumenti adeguati per affrontare i momenti critici, spazi di elaborazione condivisa dell’angoscia e migliorando la qualità della relazione tra i genitori e tra genitori e figli.

Sappiamo infatti dai contributi delle Neuroscienze quanto sia di natura relazionale la matrice dello sviluppo cognitivo del bambino.

Ciò vuol dire che buone competenze relazionali contribuiranno allo sviluppo sano del suo cervello e viceversa, competenze disfunzionali potranno impattare in maniera negativa sullo sviluppo di funzioni cognitive (come ad esempio la memoria), sullo sviluppo dei neuroni specchio e di conseguenza sulle capacità di mentalizzazione, di sintonizzazione, di autoregolazione del bambino ecc.

Quindi per lavorare e prevenire la psicopatologia nell’età evolutiva è necessario lavorare sulla genitorialità, ma questo non vuol dire colpevolizzare i genitori, vuol dire che i genitori sono i nostri più grandi alleati.

Noi clinici non abbiamo il ruolo di fornire loro le formule magiche per risolvere tutti i problemi con i figli, ma allenarli a pensare, a interpretare i segnali del loro bambino (o adolescente) per poter rispondere efficacemente, fermo restando che tutto ciò di cui un figlio ha bisogno è un genitore “sufficientemente buono” (Winnicott, 1971), non perfetto, e che l’importante non sia non sbagliare, ma poter commettere errori per poi riparare (Tronick, 2008).

Quindi lavorare insieme ai genitori vuol dire osservare e ripensare insieme le interazioni di coppia e con i figli: interrompere gli automatismi per promuovere la funzione riflessiva (Fonagy, Target, 2001), aiutandoli a riconoscere i propri stati mentali e vissuti emotivi e a saper leggere quelli dei figli, capire quali elementi della propria storia di figli portano all’interno della modalità attuale di essere genitori, e quali bisogni del figlio possono esserci dietro un comportamento problematico, aiutarli a mettere in luce le proprie risorse e a far leva sulle risposte alle richieste dei figli che funzionano rispetto a quelle che loro stessi si accorgono che non funzionano, in quello specifico contesto, in quella specifica relazione tra di loro che è unica. 

Questo permetterà l’instaurarsi di una relazione di fiducia tra genitori e figli e di cooperazione tra i partner nella coppia.


Dott.ssa Concetta Pedron

Psicologa Psicoterapeuta Psicodinamica

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La comunicazione di per sé è sempre molto difficile, in famiglia può esserlo ancora di più. Da tempo immemorabile, siamo immersi in una sorta di analfabetismo emozionale e quindi risulta proprio questo il perno della difficoltà di comunicare ciò che sentiamo a persone alle quali vogliamo bene. 

In base agli studi di Marshall Rosenberg che si è occupato di comunicazione non violenta che in seguito si è evoluta nella comunicazione empatica, sappiamo che è necessario prima tutto un processo di conoscenza approfondita delle proprie emozioni, dei propri sentimenti e dei propri bisogni. 

Sappiamo inoltre che esistono degli espedienti per comunicarli senza danneggiare la relazione. 

La comunicazione dei propri sentimenti per essere costruttiva occorre che sia accolta con apertura dall’altro, per rimuovere gli ostacoli a questa apertura Marshall Rosenberg ci consiglia di passare attraverso quattro fasi: quella dell'osservazione che abbia la caratteristica di essere non-giudicante, quella della messa a fuoco del sentimento che provo, quella della messa a fuoco del mio bisogno; dopo questa centratura possiamo fare una richiesta

In questo modo la comunicazione dei sentimenti diventa più fluida, e si presta meno alla sopraffazione, alla manipolazione e alle varie forme di aggressività attiva, passiva e allusiva. 

Ma passiamo al campo applicativo.

Come posso fare, per esempio, con il mio bambino che non ha voluto apparecchiare la tavola? Solitamente partiamo subito col giudicarlo: pigro, svogliato, disobbediente. Quindi quando comunichiamo, che si tratti di un bambino o di un adulto, il nostro giudizio sta già ostacolando la comunicazione, perché lui sentendosi attaccato/ giudicato, tenderà a chiudersi e a non ascoltare altro, oltre al dolore di questo giudizio. 

Come possiamo trasmettere il contenuto scevro da giudizio? Possiamo descrivere la situazione; ovvero dire ciò che abbiamo osservato

Ad esempio: “All’ora stabilita per l’apparecchiatura ho visto che non c’eri”. 

In questo modo stiamo descrivendo la situazione, anziché giudicarla. Poi posso parlare del mio sentimento: “Quando tu hai fatto così, io mi sono sentita arrabbiata, e un po’ triste." 

Di solito quando il sentimento è spiacevole c’è un bisogno insoddisfatto. Perciò per continuare a parlare dovrei sapere qual è questo mio bisogno. E’ necessario che io sappia come mi sono sentita e qual era il mio bisogno, per assumermi la responsabilità di ciò che sento. 

Perché attribuire all’altro la responsabilità del mio sentimento torna ad essere un elemento che tende a far chiudere l’altro e anche giustamente direi! 

Non sei mai tu che mi fai arrabbiare, ma sono io che mi arrabbio. 

Perciò posso dire che mi sono arrabbiata e sentita triste perché ho bisogno di sentirmi con te, di stare insieme e di fiducia. 

Poi posso fare una richiesta, ad esempio : ”Forse puoi iniziare la puntata del tuo cartone dieci minuti prima e venire ad aiutarmi domani?”

Con questo tipo di comunicazione ci accorgiamo di poter dire con libertà ciò che sentiamo, ma nel contempo nessuno viene ferito o umiliato. 

Può sembrare poco ma è rivoluzionario. 

Innanzitutto è facile da schematizzare è facile da comprendere ma non è mai molto facile da applicare, quindi dobbiamo tener conto del fatto che ci voglia un periodo di training prima di riuscire a comunicare in questo modo. 

Lo stesso Marshall Rosenberg, simpaticamente riferiva dei suoi primi tentativi proprio dopo aver messo a punto questo genere di comunicazione. 

Una sera suo figlio stava per uscire con gli amici che lo aspettavano e Marshall Rosenberg, cercando di dire le cose con questo tipo di comunicazione ci stava mettendo tanto tempo. Il figlio manifestò una certa  fretta e lui rispose: ”Allora facciamo così, vuoi che io ci metta questo tempo a dirti le cose in maniera carina? O preferisci che ti mandi a quel paese, ti tolga le chiavi della macchina e non ti faccia uscire?”. 

Giustamente il figlio preferirì aspettare che il padre riuscisse a organizzare le sue raccomandazioni e a dirle in modo carino. 

Nella pratica clinica, ho verificato che le persone che provano amore e affetto nei nostri confronti, quando noi iniziamo a provare a comunicare in questo modo apprezzano lo sforzo anche se ancora non siamo abilissimi in questa modalità comunicativa. 

Abbiamo usato l’esempio della comunicazione con il figlio, ma lo stesso vale per il nostro partner. In questo senso noi non possiamo considerare diverse le persone adulte dalle persone piccole. 

Perché emozioni, sentimenti e bisogni sono propri dell'essere umano, e quindi funziona a qualsiasi età. Gli esiti che ho visto nei miei pazienti sono strabilianti le vite di alcune sono completamente cambiate dal semplice porre attenzione a questi a aspetti. Una piacevole conseguenza è che tutti i tabù comunicativi hanno l’opportunità di cadere e di lasciare la libertà di poter parlare di tutto senza nuocere alle relazioni.


Dott.ssa Cinzia Arces

Psicologa della Gestalt, specialista in comunicazione empatica



Bibliografia

Fonagy P., Target M. (2001), Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina Editore.

Lucy Leu (2017) Manuale Pratico di Comunicazione Nonviolenta, Esserci Edizioni

Panìco A. (2013), Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del 

padre, Feltrinelli

Recalcati M. (2011), Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina Editore

Rosemberg M.B. (2015) Le parole sono finestre( oppure muri), Esserci Edizioni

Rosemberg M.B. (2014) Le sorprendenti funzioni della rabbia, Esserci Edizioni

Silva C., Gigli A. (2021), Il “virus rivelatore”. Nuovi scenari, emergenze e prospettive di ricerca sulle relazioni educative e familiari, Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 1 - 2021, pp. 5-17, 2021 Firenze University Press ISSN (print) 1973-638X ISSN (online) 2037-1861.

Stern D. (1995), La costellazione materna. Il trattamento psicoterapeutico della coppia madre-bambino, Universale Bollati Boringhieri.

Tronick E. (2008), La regolazione emotiva, Raffaello Cortina Editore.

Winnicott D. (1971), Gioco e realtà, Armando Editore.






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